Un testo in cammino nella storia

Il testo dell’articolo è l’introduzione al dramma di Renzo Ricchi Nel nome dei figli (2024) uscito sulla rivista “Erba d’Arno” e andato in scena il 18 e il 20 maggio nel Teatro degli Impavidi di Sarzana.

A poco più di trent’anni dalla strage di via dei Georgofili a Firenze, Renzo Ricchi torna al suo Nel nome del figlio, atto unico ispirato alla tragedia della famiglia Capolicchio che nella notte tra il 28 e 29 maggio 1993 perse il figlio ventiduenne Dario. Lo studente in architettura fu una delle cinque vittime (con Angela Fiume, Fabrizio Nencioni e le loro figlie Nadia di 9 anni e Caterina di due mesi) dell’esplosione voluta dalla Mafia.

Nel 2023, anno della strage compiuta da Hamas nei kibbutz e al rave party vicino al confine con la Striscia di Gaza ma anche della continuata guerra in Ucraina che pure ha visto il perpetuarsi di crimini di guerra e possibili crimini contro l’umanità, il tema degli attentati ha nuovamente colpito l’immaginario dell’autore che in questo anniversario ha ritenuto di dover rielaborare il testo originale prima della sua messa in scena nel maggio 2024.

Il lavoro di risistemazione si è gradualmente trasformato in quello di stesura di un nuovo testo che prende le mosse dal primo per distaccarsene non tanto nelle dinamiche teatrali quanto nelle tematiche dominanti. Se i protagonisti restano gli stessi del dramma del 2001 la tragedia al centro del loro dialogo si allarga a raccogliere il dramma di ogni vittima. Emblematico in questo senso la variazione, minima in termini di caratteri ma comunque molto significativa, del titolo che vira verso l’uso del plurale e diventa Nel nome dei figli, come l’introduzione di nuove figure, le donne vestite di nero (colore del lutto), che in lingue differenti piangono la sorte loro e dei loro figli.

Come si evidenzia dalle note non si prendono più solo in considerazione le vittime di operazioni terroristiche ma anche le vittime civili delle guerre combattute ancora in diverse zone del pianeta e tra queste, dal 2022, anche l’Europa.

Interessante il cambiamento di prospettiva attuato dall’autore che si ripercuote sul dialogo tra i due protagonisti. Nel testo del 2001 infatti il tema centrale era la fede in una religione che si basa sulla figura estrema di Gesù Cristo e sul suo sacrificio per l’uomo. I due personaggi allora si scontravano in un dialogo serrato in cui alla rabbia di una madre profondamente ferita da ciò che il suo Dio ha reso possibile (“Non è scritto nel vangelo che neppure un passero cade in terra senza il volere di Dio […]?”) si contrappone il richiamo sentito dal padre verso una fede che sceglie di perdonare. Necessità primaria sembra essere per lui il superare un dramma interiore (“Così è la disperazione” afferma) che non si dilegua a causa di una spinta alla razionalità che non lascia spazio alla fede (“Maledizione! Non ho fede! Non ho fede ma so, sento, che se non potrò contare sulla misericordia di Dio d’ora in poi non sarò altro che uno schiavo del dolore e del risentimento! Non si può rifiutare Dio senza dare agli uomini una nuova speranza. Gesù consente di restare umani anche nella sofferenza e forse di morire in maniera umana…”).

Invia una mail per chiedere l’intero testo.

Ilaria Urciuoli

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